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Il dilemma italiano del socio cinese

La struttura finanziaria e organizzativa delle imprese italiane, di dimensioni mediamente ridotte e sottocapitalizzate, rappresenta un significativo elemento da considerare nella valutazione delle determinanti e degli impatti
del fenomeno da un punto di vista aziendale.
In linea di tendenza, come discusso, la performance delle società acquisite in termini di crescita dimensionale, di solidità finanziaria, di produttività e risultato, migliora. Assistiamo in un certo senso, ad un effetto rimbalzo sul mercato asiatico in quanto le imprese cinesi aspirano e ricercano, con l’acquisizione delle nostre imprese, una via nuova per tornare in Cina o nel Sud-Est asiatico a conquistare quote di mercato con aziende italiane ben radicate nel tessuto italiano e partecipate da capitale cinese. Se lette in ottica di integrazione dei vantaggi competitivi reciproci, le acquisizioni possono consolidare e rafforzare le imprese nazionali, spesso troppo fragili e piccole per affrontare la competizione globale.

Quanto è auspicabile oggi il socio cinese per l’imprenditore italiano? Il rafforzamento patrimoniale, la crescita dimensionale e potenziale, l’efficientamento produttivo, il miglioramento della redditività che ne conseguono parrebbero non lasciare dubbio alcuno. Vi è invece un dilemma, ma occorre cambiare prospettiva assumendo quella dell’azienda Paese Italia e aggiungere un tassello.

La presenza cinese in Italia in termini di aziende partecipate si manifesta, come ben evidenziato dalla tabella “Imprese per Regione”, nelle regioni che maggiormente contribuiscono alla formazione del PIL del nostro
Paese (ovvero Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio).

Se da una parte ciò non può sorprendere e risulta facilmente comprensibile, dall’altra pone e apre a più di un interrogativo circa l’azione di governo in materia di politica industriale. Come proteggere e valorizzare allora il proprio patrimonio industriale che tanto è legato alla formazione del PIL e di conseguenza al benessere economico collettivo?

Il dilemma si forma quando si hanno più alternative ed è qui a nostro avviso parte della risposta, in quanto il dilemma difficilmente si sostanzia di fronte alla proposta di investimento cinese che fa perno, come in precedenza rilevato, sulle manifeste criticità del nostro sistema produttivo: la scarsità dei mezzi finanziari propri, l’avvio di una forte politica di efficientamento produttivo e il processo di crescita dimensionale e dei mercati.
Da un certo punto di vista gli investimenti cinesi entrano dalla porta delle debolezze e si presentano come una valida risposta per l’imprenditore interessato a vendere o condividere il percorso di crescita.
Immaginiamo all’inverso il caso di due aziende italiane piccole o medie che decidano di unirsi, non ne fanno una grande ed anzi in più di una circostanza rischiano di creare una grande piccolezza economica: la crescita
dimensionale delle aziende aggregate produce valore quando genera un aumento dei mezzi propri sul totale delle fonti di finanziamento e auspicabilmente una crescita sia della produttività del lavoro, ovvero efficientamento produttivo, sia della capacità di presidiare nuovi mercati.
La Nuova Via della Seta, paradossalmente, offre questa possibilità; è convinzione di chi scrive che il dilemma italiano del socio cinese possa concretamente manifestarsi solo in seguito all’adozione nel nostro Paese di scelte di politica industriale mirate alla crescita dimensionale organica – i mezzi propri, l’efficientamento produttivo e i mercati – e proprio in ragione di ciò molto focalizzate sullo sviluppo di un efficiente mercato dei capitali.

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